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I racconti della scuola di scrittura Arte del narrare

LA PUNTINACCIA

 

 di Francesco Marchetti

 

Una finale per il terzo posto. La canea dei rigori.

Tiri tu, per terzo, mi dice il capitano. Io ho 8 anni, la mia squadra per quest’estate nel torneo della parrocchia è il Manchester United; tra le straniere in verità la mia preferita è il Liverpool, l’Orgoglio del Merseyside come c’è scritto sulla sciarpa dei suoi tifosi.
Lui, il capitano, si chiama Pietro. È più grande, mi sceglie sempre quando si fanno le pagne per decidere chi sta con chi. Di solito le partite si giocano al parchetto sotto casa; sono tutti più grandi di me, non sono fra i primi a essere scelto. Maurino è il più bravo, poi Paolo, Rudy e Pietro. Lui gioca con scarpe nere alte alla caviglia e la suola spessa, con delle specie di tacchetti larghi di gomma. È un libero, sta in difesa, prima di iniziare mi dice sempre dove mettermi in campo.
Tiri tu, per terzo. Se lo dice Pietro, per me è bibbia.
La Minicoppa è il torneo estivo dell’oratorio di San Martino. Il prete è un tipo giovane e in gamba. Ogni fine luglio raccoglie in quattro squadre il meglio e il peggio dei ragazzini del quartiere. C’è anche qualche bambino, pochi in verità. Ogni tanto i più grandi esagerano; insomma, Rudy la settimana scorsa mi ha dato un calcio nel sedere, perché mi ha sentito mentre dicevo che non vinceranno certo loro. Le squadre di quest’anno saranno Bayern, Manchester, Real Madrid, Ajax; nessuna italiana, per evitare che ce la litighiamo tra di noi. Non ci sono divise, ognuno si veste da sé. Gioco in porta, per lo più, è così che va per i più piccoli. Raramente mi fanno uscire, perché sono piuttosto basso, esile. Vorrei chiedere, “perché se sono basso mi fate fare il portiere?”, ma non ho il coraggio. Fuori non vedrei palla, sono tutti più alti, robusti e veloci di me, mi dicono. Ma anche in porta non ne vedo una, soprattutto se sono alte; a ogni gol che subisco, ne prendo parecchi, mi fanno male le occhiate di Pietro. Una volta mi ha urlato “cazzo! Ma tirale su ‘ste mani”. Io ci provo, ma mi blocco. Ci penso ogni volta, arriva il tiro, ma resto immobile. Per me è una questione importante. Dopo ogni gol preso mi sento in colpa, non riesco a dire nulla. Qualche settimana fa, dopo una partita al parchetto, Pietro però mi ha chiesto “ma tu non giochi in nessuna squadra?”
“No” gli ho risposto.
“Ma va che te sei un cretino!”
Non mi ha ferito in quel momento, anzi. Il giorno dopo sono andato in parrocchia e mi sono iscritto per giocare nei pulcini. Non in porta, l’ho detto all’allenatore. In porta non riesco.
Insomma, qualche giorno fa stavamo vincendo e mi hanno fatto giocare fuori. Pietro mi ha detto “dai, sto un po’ io dentro, gioca in attacco”. Ho segnato due goal al Bayern. Io, il più piccolo del torneo. Tanti sono corsi ad abbracciarmi in mezzo al campo. La seconda volta mi ha preso in braccio Cristiano, quello che l’anno scorso mi ha bucato il pallone al parchetto. Quel giorno gli ho urlato “pezzo di merda! Testa di cazzo!”, mentre lui rideva delle mie parolacce; era la prima volta che insultavo qualcuno. Mi ha tirato su e ha detto “bravo stronzetto!” e un sacco di amici mi sono venuti addosso e mi trattenevano chi le gambe e chi le braccia.
Tiro io, per terzo.
La partita con il Real Madrid è terminata due a due. C’è da decidere chi è più forte e chi vince sarà terzo in classifica. È una cosa seria. Pietro mi dice che i rigori li para lui. Non dice “sto io in porta”, ma proprio “li paro io”. Ai bordi del campo, dietro la porta il pubblico si assiepa. È un oratorio, il terreno di gioco è una distesa di polvere con qualche ciuffo d’erba lungo sulla linea laterale e sul fondo.
Tra la gente c’è mio padre. Anche lui si chiama Pietro.
Mio padre giocava nella Reggina. Mio padre ha giocato anche allo stadio Prater di Vienna. Mio padre è stato radiato a vita per aver preso a calci nel culo un arbitro da una parte all’altra del campo; l’ha inseguito, mi ha raccontato, e poi se n’è andato LUI dal terreno di gioco. Mio padre calcia il pallone in alto, lo manda in eclissi con il sole e quando scende giù sa stopparlo sul collo del piede, posandolo a terra con una carezza.
Fin da prima dell’inizio dei tiri in porta, mimando un breve movimento col piede, mi dice “Cecco, tiragli una puntinaccia”. So cosa vuole dire e so perché mi dà quel consiglio. Se colpisci la palla con la punta del piede, il tiro è secco, facile da indirizzare. Se il portiere lo intuisce deve essere svelto a muoversi verso la palla, ma se lo calci bene il più delle volte resta fermo. Se non sei tanto stupido da tirargliela addosso hai buone possibilità di segnare. La puntinaccia funziona, tanto bene che a me sembra quasi un trucco.
C’è fermento. Guardo mio padre, mentre il primo rigorista va verso il dischetto. Lui mi fa un altro gesto. Stringe il pugno e dà all’aria un colpo secco che parte dal suo petto e si ferma di colpo. Una cannonata. Bum!
I primi quattro rigori, due per parte, vanno a segno. Tocca a me. Il terzo, come ha detto Pietro. A pochi metri da me, nel pubblico, mio padre ripete senza dover urlare e con l’accento calabrese per distinguersi nel brusio, “minaci una puntata!”.
Non rispondo. Bonetti, il portiere del Real Madrid che conosco solo di cognome, mi viene incontro sul dischetto, mi passa la palla e sorride. La raccolgo. Fa caldo, sono sudato e vedo in controluce le impronte bagnate delle mie mani sulla superficie di cuoio. Sistemo la palla sul dischetto, retrocedo di qualche passo per la rincorsa. Mi tremano le gambe. Solo un po’. L’arbitro fischia. Bonetti non sembra un ragazzino. È molto alto. Quelli alti di solito sono lenti. Ma soprattutto, io le puntinacce non le tiro. Così sono bravi tutti, compresa quella testa di legno di Nicola che è una mezza sega ma ha segnato poco fa, con una puntinaccia. Ma se non segno? Pietro mi sceglierà ancora? Cosa dirà mio padre? E se perdiamo per colpa mia? Una puntinaccia non costa niente, papà non mi darebbe consigli sbagliati. Arrivare terzi è più importante.
Mentre inizio la rincorsa, noto la maglia da portiere di Bonetti, rossa col colletto giallo e i suoi guanti neri, di quelli che si comprano nel negozio di fronte alla chiesa, ne ho un paio anche io, blu. Va bene, puntinaccia sia.
Mi muovo verso il pallone, i passi dapprima li accenno, avanzo sulle punte, aumento la velocità e l’ampiezza, ora corro verso il dischetto. Poso il piede sinistro accanto al pallone, carico il destro, la gamba alzata dietro il corpo scende veloce. Non ce la faccio. La puntinaccia, dico. Cambio idea all’ultimo istante.
Colpisco con l’esterno del collo del piede. Il pallone parte verso l’incrocio dei pali.

Bonetti è immobile.

Chiudo gli occhi.

 

Francesco Marchetti, 49 anni. Imparo a leggere e scrivere a 3 anni, ma decido da subito di prendermi una pausa dopo una pioggia di critiche negative in famiglia. Mi riarmo negli anni e con lo pseudonimo di r_u_bens scrivo sulla piattaforma splinder il blog DAGLI APPENDINI ALLE ANTE; l’esperienza è avvincente, per questo la interrompo prima di provarci gusto. Cantante, compositore, autore di testi di canzoni. Lettore incostante e monomaniacale.

Di Arte del narrare

Arte del narrare organizza corsi di scrittura creativa a Milano e online

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