di Rosmunda
“Posso sedermi?”.
“Certamente” rispose con un sorriso tirato e riprese la lettura del
giornale.
“Interessante?”.
Enrico alzò il sopracciglio “Ci conosciamo?”.
“Più o meno” disse l’altro accomodandosi.
Enrico avvicinò il viso per scrutarlo. No, non conosceva quell’uomo,
anche se il tempo cambiava chiunque, anche lui.
“Non ci arrivi proprio?”.
Enrico lo guardava come cercasse di svelarne le sembianze, forse
qualche amico d’infanzia?
“Uff, ti facevo più sveglio, non sei tu quello che non vuole morire?”.
“Penso di essere in buona compagnia”.
“Sì, siete parecchi” si guardò intorno con aria annoiata “specie quando
raggiungete una certa età”.
“Credo sia inevitabile”.
“Non c’è nulla di inevitabile”.
Tranne la morte, Enrico non osò dirlo e l’uomo parve non pensarlo.
“Ad ogni buon conto, adesso parliamo di te”.
No, lui non aveva paura di morire, di invecchiare forse. L’idea del
corpo che lo tradiva, abbandonava piano piano, forze, energie che
sparivano, la prospettiva di non riconoscersi più, non riuscire a fare
quello che voleva quando voleva, di non essere lui a disporre del
proprio corpo bensì questo di lui, lo atterriva. Meglio morire subito, un
colpo e via. Anche se ultimamente…
“Non è forse vero che da mesi vai dicendo ‘non adesso’?”.
Sì era vero, ma era diverso. Si chiedeva, si tormentava da settimane,
doveva lasciare proprio adesso? Ora che cominciava a divertirsi? Non
si era mai fatto mancare nulla, certo. Ma ora, dopo una vita passata a
lavorare, faticare per sé e tutta la famiglia, adesso che finalmente
poteva tirare il fiato, dedicarsi (a tempo pieno) al suo esclusivo
piacere, doveva mollare? Per l’amor del cielo, se costretto lo avrebbe
fatto, non si era mai tirato indietro in vita sua, ma se c’era un modo…
“Vedo che ci stai arrivando”.
Quell’uomo iniziava a dargli sui nervi, sapeva troppe cose e aveva un
che di supponente.
“Veniamo al dunque che non ho molto tempo” lo guardò, sorrise “e
neanche tu”.
Aspettò qualche istante, quasi volesse far atterrare bene bene lo
sgomento nell’interlocutore e poi riprese “Allora cos’è che vuoi
stavolta?”.
Enrico non aprì bocca.
“Soldi non credo, giusto?”.
Di soldi ne aveva in abbondanza, più di quelli che sarebbe riuscito a
spendere. Lo aveva detto ai suoi figli “Vi lascio tutto quello che non
riesco a spendere” ed era stato di parola, cene, viaggi, dipinti e gioielli
antichi, regali a non finire, non per sé ma per quelli che lo
circondavano. Gli dava un gran piacere regalare.
A Pallina si illuminavano gli occhi, il viso si faceva bellissimo, lo
abbracciava, lo baciava, feste a non finire, sembrava una bambina.
Quello era il bello, con un niente esaudire i desideri degli altri, prima
ancora che sapessero di averli. E a lui, in fondo, costava niente. I soldi
servivano per essere usati, questo andava ripetendo, specie quando la
donna non si staccava da lui.
“Che altro desideri?”.
Che desideri poteva ancora avere lui? Ormai li aveva esauditi tutti,
voleva smettere di essere povero e c’era riuscito, diventare ricco
sfondato e lo aveva fatto, avere una bella famiglia e aveva pure quella.
Desiderava vedere almeno il suo primo nipotino ed era già al quarto –
se adesso sua figlia Federica avesse smesso di sfornare pargoli e si
fosse dedicata all’Agriturismo che le aveva regalato ne sarebbe stato
contento, ma non era un vero desiderio, solo un’idea, per il bene della
figlia e del pianeta.
Altra cosa erano i sogni, quelli sì ne aveva. Il più grande lo stava
realizzando proprio ora, il suo Cinema lo occupava giorno e notte –
beh la notte sapeva impiegarla anche diversamente – ma insomma
aveva un gran da fare, scegliere i film, programmare gli spettacoli,
organizzare le serate, intrattenere registi, attori, conoscere le loro
storie, le storie dei loro film e gli piaceva, gli piaceva da morire.
“Soldi ne hai, donne pure” lo sconosciuto lo guardò “e parecchie”
quell’occhio furbo non piaceva proprio ad Enrico “non ti manca
nulla?”.
Se proprio poteva chiedere, qualcosa ci sarebbe stato, solo per finire di
realizzare il suo sogno più grande.
“Tempo? E’ questo che vuoi? Tutti a volerne di più, foste almeno
capaci di usarlo bene”.
“Questo so farlo, non si può negare”.
“Uno dei pochi, sentiamo, quanto te ne occorre?”.
“Dipende, quanto ne posso chiedere?”.
“Tutto quello che vuoi”.
“Sì, ma in cambio?”.
“Tutto quello che voglio io”.
A Enrico mancò il fiato.
“Tu a cosa saresti disposto a rinunciare?” lo fermò ancora prima che
aprisse bocca “Non sciocchezze, sia chiaro”.
Ci pensò un po’, guardò il mare, la costa, le spiagge, alcune barche a
vela solcavano l’acqua, un enorme telo azzurro, liscio, disteso, senza
una grinza, poi guardò l’uomo “La mia casa al mare”.
“Non ci siamo capiti, qualcosa cui tieni davvero”.
“Ci tengo tantissimo”.
L’uomo scosse la testa “Intendo, irrinunciabile…”.
“Come la mia anima?”.
“No, quella l’abbiamo già”.
Il caffè gli andò di traverso, sapeva da tempo che sarebbe andato
all’Inferno ma addirittura la sua anima…
“Non ricordate mai voialtri, da dove credi arrivino tutti quei desideri
esauditi? Tutto ha un prezzo”.
“Pensavo di averlo pagato abbondantemente”.
“Sottostimate voi, specie se dovete prendere di nuovo quella piega
cattiva nell’angolo sinistro”.
“Cos’altro volete allora?”.
“Che so, qualcosa di prezioso, tipo un figlio, un nipote, hai appena
avuto un nipotino no? Lo avrai visto sì e no tre volte”.
Tre, quattro, dieci non voleva dire nulla, non era quello che contava,
ogni volta che poteva e lui era ancora un uomo molto indaffarato,
pensionato per modo di dire, chi pensava mandasse avanti la Società?
Quei rimbambiti dei figli? Ci voleva una balia per loro. Così si
ritrovava con doppio lavoro, il cinema e tutte le beghe del precedente.
Ma non si lamentava, non era mai stato capace di stare con le mani in
mano e poi quella sala era il suo sogno e i sogni si pagano.
“Allora siamo d’accordo? Il piccolo Jacopo?”.
“Sei pazzo?” né lui né Chiara né la piccola Francesca, li voleva vedere
crescere, almeno un pochino.
“Tua figlia allora?”.
Federica?, un’inguaribile rompipalle, tutti d’accordo, lo aveva detto
anche al genero prima di portarla all’altare ‘Sicuro sicuro? Ora mio
caro sono cavoli tuoi!’. Ma di qui a sacrificarla ne passava, era un
pezzo di lui, della sua vita, della sua felicità, non ne avrebbe potuto
fare a meno, mai.
“Come sei noioso, tua moglie? Anche se, per uno come te, sarebbe
quasi una liberazione ”.
Sbagliava. Per quanto avesse avuto un’infinità di donne, bene o male
sempre da lei era tornato. E ancora adesso, non ci pensava proprio a
lasciarla, non poteva immaginarsi senza di lei, semplicemente non si
immaginava neppure solo con lei. Che ci poteva fare se era un tipo
fantasioso?
“E la tua bella amante, che ne dici?”.
Pallina? Proprio adesso che aveva ricominciato a divertirsi, quella
schifosetta lo faceva diventare matto, l’aveva cercata una vita intera
una così e ora che l’aveva trovata doveva rinunciarvi?
“Insomma non rinunci ai soldi, al successo, ai tuoi figli, ai nipoti,
neppure all’amante e allora cosa pretendi?”.
Era vero, e non pretendeva nulla. La sua vita era già perfetta così, non
avrebbe saputo fare a meno di nessuno dei suoi cari, di quanto aveva
fatto e conquistato, o di ciò che faceva ora, allora forse… davvero si
poteva dire…
“Ho capito, un altro di quei falsi infelici che mi fanno perdere un
mucchio di tempo. Blaterate tanto, sempre a lamentarvi ma poi, stringi
stringi, non volete rinunciare a nulla di ciò che avete. E allora
tenetevelo ben stretto e non chiamate me, che ho altro da fare!” e in un
attimo si dissolse nel nulla “Ci vediamo dall’altra parte!”.